Determinare l’oggetto di cui si ha paura è un passo da adulti. Non riusciamo ancora a farlo, perciò viviamo uno stato d’angoscia. Changes ne ha parlato con Umberto Galimberti.
«Se vedo un incendio, scappo. Nel caso del
coronavirus non sappiamo da dove viene, chi ce lo può attaccare. È
qualcosa di indeterminato. Di cui avvertiamo il pericolo, ma non vediamo la minaccia da cui difenderci. Perciò la paura non riproduce lo stato d'animo attuale degli italiani. Viviamo invece l'angoscia di non avere un oggetto di cui avere paura». Un nemico invisibile che ha stravolto le nostre vite. Un nemico con cui siamo comunque costretti a fare i conti. E a cui cediamo ogni giorno
frammenti della nostra quotidianità. È ormai qualche decennio che
Umberto Galimberti, di professione
filosofo, prova a dare un nome alle cose. «L'importante è sempre determinare l'oggetto di cui si ha paura. E noi non riusciamo ancora a farlo, perciò viviamo uno stato d'angoscia», dice Galimberti a
Changes.
«È come se fossimo
tornati bambini, perché nell'infanzia non si ha paura di nulla, ma appunto angoscia verso tutto ciò che non si conosce. Se quando un bambino fa l'isterico, urla e si butta a terra, la mamma gli dà uno schiaffo, gli toglie l'angoscia perché il bambino può determinare un pericolo, lo schiaffo, e può spiegare a sé stesso la genesi di quell'evento, ricollegando il suo comportamento alle conseguenze patite. L'importante è sempre determinare l'oggetto di cui si ha paura. E noi non riusciamo ancora a farlo, perciò viviamo uno stato d'angoscia indefinita», ragiona Galimberti. Basti pensare alle giornate che viviamo. Il tempo che le scandiva, per definizione serrato, di colpo si è dilatato. Catapultati in una dimensione sospesa, le ore non rappresentano più appuntamenti a cui far fronte. Le
18:00 erano il momento dell'happy hour, l'ora dell'aperitivo. Le 18:00 sono ormai diventate l'appuntamento quotidiano con la conferenza stampa della Protezione Civile. E con il bollettino della guerra al nemico invisibile.
D'un tratto le misure varate nei DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri) hanno ridefinito i nostri comportamenti individuali. Quantomeno avrebbero dovuto ridefinirli, mentre gli assalti ai supermercati e le fughe notturne dalle città sembrerebbero dimostrare il contrario. «L'anticipazione sui giornali della bozza del decreto del governo sul coronavirus ha avuto senz'altro un peso. Chi anticipa bozze compie un reato e andrebbe cercato e punito come si cercano i delinquenti. Come diceva Weber, bisognerebbe installare
un'etica della responsabilità a partire dalle istituzioni. In questo caso non importa neanche discutere o processare le intenzioni di chi ha diffuso la bozza del decreto, buone o cattive che fossero. Giudichiamo gli effetti delle azioni sulle persone: un sacco di gente è fuggita da Milano per andare a diffondere il virus nel meridione d'Italia», spiega Galimberti.
Eppure le misure contenute nella
bozza hanno poi trovato sostanziale conferma nella pubblicazione del
decreto. E i treni notturni stracolmi da Milano sono
partiti anche dopo il varo del secondo DPCM, così come erano stati presi
d'assalto dopo la pubblicazione delle bozze del primo decreto. E nonostante
l'appello del premier Conte ("Non è necessario fare nessuna corsa per acquistare cibo nei supermercati"), gli assalti ai supermercati hanno continuato a verificarsi, costringendo catene come Esselunga a
limitare gli ordini online dei singoli. Le prescrizioni metodologiche, seppur puntualmente diffuse dalle autorità, non esercitano più un'influenza sui comportamenti individuali?
«Le prescrizioni metodologiche non sono inefficaci; sono inutili. Ce lo ricorda
Aristotele: i
comportamenti umani non sono esattamente prevedibili come i teoremi di matematica, in cui si deducono le conseguenze dalle premesse. I comportamenti umani sono tra di loro assolutamente non decifrabili, non deducibili da principi. E allora non bisogna usare il "sapere", ma la "phronesis", ovvero la saggezza. E il buon senso, che decide di volta in volta cos'è meglio e cos'è peggio. Il minor male al limite, più che l'esorcismo del male. Era la virtù che Omero riconosceva in Ulisse, per cui noi - da italiani - abbiamo parlato di astuzia. Ma in realtà si trattava di saggezza e capacità di muoversi all'interno di situazioni pericolose da entrambe le parti. Questo è l'atteggiamento che deve assumere chi ci governa», ragiona Galimberti.
Se però
l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha ormai sdoganato la pandemia per definire la diffusione del Covid-19, a destare allarme è anche l'infodemia, ovvero la diffusione delle notizie false. Secondo il
Covid19 Infodemics Observatory, redatto dal laboratorio CoMuNe della Fondazione Bruno Kessler di Trento in collaborazione con il Berkman Center for Internet & Society di Harvard e l'Università IULM di Milano, su oltre
100 milioni di tweet analizzati, più di
40 milioni non sarebbero stati pubblicati da persone in carne ed ossa. E il
29% sarebbero
fake news a tema coronavirus. «Le strategie di comunicazione istituzionale non hanno presa per l'angoscia dilagante, perciò le fake news comandano e comanderanno in futuro. Per non diventare il Paese che crede più alla portiera del palazzo che alla scienza, bisogna educare la popolazione alla scienza. Davanti a un pericolo invisibile le persone vanno in angoscia e assumono comportamenti irrazionali. E i social network possono produrre conseguenze disastrose. In Italia è stato grave eliminare le forze sociali intermedie e combattere le competenze come sui vaccini. Si prendono a calci professori e medici come se tutti fossero più competenti di loro. Ma questi sono anche gli effetti di sovranismo e populismo, in cui il rapporto tra capo e popolo si consuma senza intermediazioni».