Ci può essere un vivere in mezzo, a metà strada tra la natura e la metropoli, tra l’affollamento e la solitudine. Il nuovo urbanesimo dove c’è più comunità, meno densità e affollamento.
Il pendolo tra l'abitare e il lavorare ha la sua eterna mobilità: ci sono gli anni del vado a vivere in città e poi quelli del torno a vivere in campagna. Avanti e indietro. Un decennio a decantare tutti insieme il futuro delle big cities, e quello dopo a descrivere la tranquillità e la salubrità dell'orto dietro casa, in una località tranquilla e un po' isolata. È un pendolarismo dai tempi lunghi, a cui ci si abitua. E le spinte cicliche verso l'una o l'altra – campagna o città – vengono da chissà quale fusione di elementi: la crisi e i mercati che si ribellano, l'ambiente e la demografia, il lavoro che manca e la riscossa del food autoprodotto nell'illusione di essere autonomi. Ora, può forse essere il Covid-19, di nuovo e con più forza, a ributtare in mezzo al discorso pubblico sul dove vivere e lavorare, l'eterna diatriba tra centro affollato e provincia tranquilla?
Cronache della resistenza urbana
Alt un momento. La fantastica narrazione sui vantaggi dell'urbanesimo non è finita, e sarà dura a morire; pur scossa dalla pandemia, è ancora palpitante, ed è oggi l'unico metro di misura con cui valutare il presente: da qui si può solo partire, nel senso vero di allontanarsi. Centrifuga, oggi, o centripeta, ieri, si tratta sempre di una forza scaturita dal centro. Prendiamo Milano, sempre aggrappata all'epica delle sue robuste connessioni con il mondo, della voglia di rialzarsi e dei servizi efficienti: è lì che si guarda allo specchio e si chiede se si è forse ridotta a eventificio, mensa per pendolari oppure centro commerciale. Domande buone anche un anno fa. C'è da ammetterlo.
Eppure, i centri urbani rimangono aggrappati alla loro immagine di motori di un'eventuale ripartenza. Persino ora che i loro punti di forza sono tutti in crisi: la globalizzazione, sì ma sarà ancora quella di prima? La mobilità efficiente, sì ma ora che non ci si può muovere? Il lavoro e le opportunità, sì ma dove? E mettiamoci pure la grande offerta di food ed eventi. Ma proprio adesso?
Il lavoro che cambia forse per sempre
Chiariamoci, le complessità che fino a ieri erano fonte di ripensamento sul vivere in città sono le sempre le stesse, ma l'ultima è decisamente più incisiva, perché impatta sull'attività che copre la maggior parte del tempo. Ed è qui che si sta girando l'interruttore delle abitudini: se ora si comincia a pensare di poter lavorare ovunque – escluse quelle attività che costringono all'ufficio o alla linea produttiva – si è più propensi a scegliere bene dove andare a stare. Non proprio così vicini al posto di lavoro, allora, ma dove si sta meglio e ci si sente benvenuti. Ecco che si fanno avanti le nuove proposte, per ora fisiologicamente confuse, come i quartieri o le città a 15 minuti di distanza, o i borghi come nuovi insediamenti di qualità; e cosa sono se non la fotografia di una ricerca sempre più pressante di un nuovo modello distributivo del vivere e lavorare?
Dalla spinta urgente verso forme meno dense e affollate di vivere, per ragioni sanitarie, saremo poi costretti a ragionare su come utilizzare al meglio gli spazi disponibili, da una parte, e su come riprogrammare le nostre attività di vita dall'altra.
Vivere in una città intermedia
Così, il Covid-19 costringe finalmente ad affrontare i disequilibri che minacciano da sempre la sostenibilità del vivere in città, che riguardano la disponibilità di tempo e spazio, i legami umani, le disparità di reddito e la distribuzione della ricchezza, l'accesso alla proprietà e all'abitare, l'ambiente e la carenza di risorse.
Si scopre allora che c'è forse un territorio di mezzo – tra l'iper-concentrazione cittadina e la massima dispersione della campagna – che è quello delle città intermedie, quelle appunto di medie dimensioni, dove questi elementi di conflitto sono attenuati.
Qui è più facile l'accesso alla casa, la natura è più vicina, e le relazioni con il vicinato sono più naturali e senza ostacoli. Non si tratta, in fondo, di un ritorno rivoluzionario e di un salto in un mondo disconnesso, perché ormai molte di queste città medie sono nell'orbita di quelle più grandi. Sono solo poli urbani che godono di una pressione nell'uso del suolo inferiore a quella metropolitana, e di un senso del luogo e di comunità maggiori. Che però hanno davanti una sfida enorme. Rubare alle grandi città ciò che manca a loro. Rendersi interessanti per i giovani in cerca di opportunità, offrire un ventaglio di possibilità professionali ampie, e consolidare tutti quei tentativi, già in atto, di offrire servizi di qualità, in cui pubblico e privato possono essere la soluzione più efficace. L'unica.