Un’analisi del MIT stima che entro il 2021 saranno oltre 100 milioni le persone censite attraverso i geni. Così la scienza aiuta il marketing sulla strada di consumi personalizzati e nuove esperienze di acquisto.
All'inizio del 2019, oltre 26 milioni di consumatori avevano sottoposto il proprio DNA a varie
società di analisi per ricavarne informazioni sul proprio albero genealogico.
Di questo passo, un report della Mit Technology
Review stima che entro il 2021 potrebbero essere 100 milioni le persone i
cui geni sono stati censiti e catalogati. E man mano che il costo si abbassa
(oggi un’analisi fatta dalla californiana 23andMe
costa circa 60 euro) e il tempo di elaborazione si abbrevia, l’esame del kit
genetico potrebbe diventare la chiave di accesso per esperienze
iper-personalizzate, l’ultima frontiera di chi vuole godere di piaceri
esclusivi e su misura.
Oltre al boom dei
viaggi sulle orme degli antenati (con l’iniziativa virale di Aeromexico, con
sconti basati sul DNA riservati agli americani discendenti da avi messicani per
i voli dagli Usa al Messico) e alle app per selezionare geneticamente il
compagno di stanza ideale (Spareroom. com), la profilazione genetica sta
portando nuova linfa ai settori del dating e della ristorazione. Ma il dubbio
è: dietro esami che si dichiarano scientifici, c’è la scienza o solo il
marketing?
Per esempio, Gene
Partner Japan, società con sede a Tokyo, utilizza campioni di DNA per
analizzare i geni dell'antigene leucocitario umano (HLA) di ogni iscritto
single. La teoria è che maggiore è la differenza tra l’HLA di due persone, più
elevata è la probabilità che si trovino attraenti. Ma basta questo a individuare l’anima
gemella? «L'effetto del sistema HLA sulla scelta del partner è stata dimostrata
in uno studio di Claus Wedekind nel 1995, ma poi per molti anni non se ne è più
saputo niente» ricorda Guido
Barbujani, docente di genetica presso l’Università di Ferrara e autore di
Sillabario di genetica (Bompiani). «Di recente, sono usciti due articoli sul
tema; uno che conferma questi risultati, e uno che li mette in dubbio, sostenendo
che si trova una preferenza per partner diversi dal punto di vista di HLA nelle
donne europee, ma non in altre popolazioni. Quindi, per quanto il matchmaking
di questo tipo possa avere basi serie, una profilazione simile viene presentata
come iper-precisa, facendo finta che non ci siano, invece, parecchie incertezze».
Il discorso è simile per la ristorazione: entro l’anno a
Tokyo aprirà le porte il ristorante Sushi
Singularity, che utilizza l'analisi genetica per creare pasti su misura
per ogni individuo. Una settimana prima della data della prenotazione, il
locale si incarica di raccogliere bio campioni dei commensali per creare sushi
unici, stampati in 3D, adattati alle esigenze nutrizionali di ciascuno. A
Londra Yo! Sushi ha collaborato con la società di test genetici a domicilio DNAFit per creare offrire pasti
personalizzati o piani nutrizionali a un numero selezionato di clienti. E al Ces 2020, il principale salone
dell’elettronica mondiale, DNANudge
ha presentato un braccialetto, con una app di accompagnamento, che consente
agli utenti di identificare i prodotti alimentari più adatti alla loro
composizione genetica. Anche in questo caso, però, nonostante i proclami di chi
sostiene che ormai siamo entrati in una nuova era della ristorazione
all’insegna dell'iper-personalizzazione, il legame tra kit genetico e gusti o
fabbisogni alimentari non è ancora univocamente determinato. Tutt’altro:
un’offerta avanzata dal colosso Usa del cibo congelato, Lean Cuisine, che
prevede di usare "marcatori genetici per determinare l'assunzione
personalizzata di nutrienti" al costo di 79 dollari a settimana per 2
mesi, avrà forse prodotto utili, ma non risultati. Al contrario, secondo un
recente studio pubblicato sul Journal of
American Medical Association, le diete basate sui risultati del DNA non
aiutano le persone a perdere peso.
Barbujani suppone che queste iniziative alimentari, più che
migliorare la salute, siano tarate sui geni per la sensibilità ai sapori, che
si esprimono nei recettori della lingua e del palato, e cadono in 5 classi
(acido, salato, amaro, dolce e umami,
che in giapponese vuol dire buonissimo, ed è il recettore del pane, delle
patate, della carne e del glutammato sodico) e puntino a menù differenziati a
seconda delle varianti che ciascuno di noi porta di questi geni. «Ma quanto
arbitraria sia l'associazione fra varianti genetiche e sapori che ci piacciono,
a prescindere da fattori culturali, come l'abitudine a certi sapori
francamente, non so». Più in generale,
nella pretesa iper personalizzazione basata sul DNA l’esperto rileva due punti deboli: da un lato le aziende non
rivelano, per motivi commerciali, l'algoritmo che usano, e fanno riferimento
ciascuna a un archivio di dati diverso, di modo che società diverse danno
risposte diverse agli stessi clienti.
In realtà, dunque, queste società, più che certezze
scientifiche, offrono una nuova narrazione personale: e se le persone
apprezzano la storia fornita, finiscono per crederci, come nella classica profezia che si autoverifica.
Il problema, semmai, è che sulla base di questa presunta scientificità delle
analisi genetiche, tanti sono disposti a rinunciare alla privacy e condividono
questi dati in cambio di servizi mirati.
Secondo un sondaggio condotto in Australia da You gov nel 2017 ben il 70%
dei Millennials (contro il 44% della
generazione X e il 39 dei Baby Boomers) cederebbe dati sul kit genetico in
cambio di offerte commerciali mirate.
Se già scarseggia sui social, nel campo genetico è
praticamente inesistente la percezione del rischio di cedere i dati personali a
un soggetto commerciale. Le persone faticano a vedere un rapporto diretto causa
-effetto tra il fatto di rinunciare oggi alla privacy, in cambio di un servizio
“su misura”, e il rischio che tra una generazione, magari, i loro figli non
trovino lavoro perché dai dati emerge la probabilità di sviluppare qualche
malattia congenito. I social purtroppo
dimostrano che alla gratificazione immediata è difficile resistere. Tanto
più se essa ci attribuisce una nuova identità, come discendenti di popoli
gloriosi o semplicemente come golosi che compensano oggi le carenze di secoli
di privazioni.